mercoledì 5 giugno 2013

Le Souk

Prima di finire la storia dell'Artista di Strada, mi piacerebbe raccontarne un'altra. Fujiko è diventata una cinica ladra d'emozioni perché qualcuno si è prima appropriato delle sue. Così, tra le volutamente asincrone sfumature di truffa, includerò una delle prime che ebbi ricevuto. Ero piccola, ma la truffa fu grande perché mi rubò qualcosa di molto prezioso.
 
Sono in Tunisia con la mia famiglia, un breve viaggio fatto durante il mio ultimo anno delle medie. Figata(!), mi perdo giorni di scuola senza bisogno di marinarla, e in più sto in un albergo a 5 stelle con piscina, immergendomi oltre che nell'acqua colorata anche nella storia e nella cultura di quello che è stato uno dei più grandi popoli del mediterraneo: i cartaginesi. Visito le rovine di antiche città-musei-salgo sul cammello-tuffo in piscina-cena in ristorante-escursione nel deserto-tuffo in piscina-tatuaggio henné sulla mano-tuffo in piscina. A dire la verità di tutti questi tuffi in piscina un po' mi vergogno perché ho ancora zero tette, ma va be'. È l'adolescenza!
Ricordo di quel falconiere che mi ha fatto tenere un rapace sul braccio, tra le vie di un villaggio del Sahara che non ricordo più. Ma rammento quel falco, e che ero a disagio nel farmi fotografare con il volatile; ricordo che con quelle zeppe che usavo ero "giàpiùaltadimiamadre", e che mia madre impedì a una banda di ragazzi di toccarmi il c**o mentre passavamo per una di quelle vie.
Che buono il profumo dell'henné!
In Tunisia si parlano l'arabo e il francese, e io ero contenta perché il francese lo sapevo!
Ma in realtà ciò a cui pensavo di più era la mia città, che mi mancava tanto ( ma perché? Fa schifo!), le mie amiche a cui avrei mostrato l'abbronzatura e il tatuaggio non permanente, e soprattutto L, che mi piaceva tanto, a cui avrei voluto dare un bacio. Quando si è così piccoli ci si lega a delle cose altrettanto piccole e spesso non si riescono ad apprezzare quelle grandi! Ma che scema! Adesso andrei in vacanza di continuo!

Una sera, in una città di cui la mia mente si ostina a dimenticare il nome, vado in giro con la mia famiglia per il Souk, uno dei famosi e bellissimi mercati arabi, pieno di colori, odori, frutta secca disposta a piramide e incantatori di serpenti. È l'ora del tramonto e c'è ancora caldo. Stiamo per tornare a casa, ma mio padre mi chiede di accompagnarlo in un negozietto scavato nella pietra dove si vendeva pentolame in ceramica. Accetto. Siamo solo noi due. Il negozietto si trova vicino all'uscita del Souk, su una salitina. Entriamo...
...
Mio padre, che chiede indicazioni su alcuni oggetti, viene allontanato da un signore più anziano. Io rimango sull'uscio, in attesa. Alla mia destra, in ombra, un uomo più giovane è seduto su uno sgabello. Guarda mio padre, poi mi squadra, mi osserva, mi prende per un braccio e mi tira davanti a sè. Lì la conoscenza del francese mi è servita ad eseguire i suoi ordini. Mi chiede il nome: Fujiko. Mi dice di dargli un bacio sulla guancia. Rimango bloccata, ma mi intima di farlo scrollandomi per il braccio. Lo bacio sulla guancia. Lui ne approfitta per stringermi a sè, usando l'altra mano per ravanare tra le mie non-tette. 
Puzza. Ha un fetore specifico, che ancora ricordo nitidamente, a differenza della sua faccia e di tutto il resto, che al contrario è come se si sia piegato su se stesso, deformandosi. Ma quell'odore è ancora vivo nella memoria: sa della diarrea di cane che avevo calpestato in Marocco qualche anno prima. Esatto, sa  
proprio di quello. 
L'uomo puzzolente mi tiene bloccata -i i colleghi ci schermano- e con le mani luride si intrufola nei miei jeans attillati e quindi nelle mie mutande, prima dietro e poi...davanti.
Quanto tempo è passato? Troppo.
Torna mio padre, ignaro di tutto. Sono sotto shock, e in più mi vergogno. Lui nota che c'è qualcosa di strano, e mi dice di andare. Mi fa strada. L'uomo prima mi lascia, poi mi segue tirandomi indietro sempre per lo stesso braccio, e infila per l'ultima volta la mano dentro gli slip. Poi mi lascia andare.

Perché non se n'è accorto nessuno? Ha fatto così perché avevo i pantaloni attillati? Ma io, io ho solo 13 anni! Perché i miei genitori non dicono niente? Non hanno visto! 


Torniamo all'hotel con il trenino turistico della nostra compagnia. 
Quando sono nella mia stanza, non riesco a sentire altro che l'odore della diarrea di cane che avevo calpestato anni prima in Marocco.
Ma sono io che puzzo così! Sono i miei jeans, le mie mutande, il mio corpo! 
Mi faccio una doccia.
Mi faccio un'altra doccia.
L'odore rimane. 
Mi faccio un'altra doccia ancora.
Vado a dormire. Ho un segreto da nascondere.

lunedì 20 maggio 2013

Artista di Strada Part II

La casa di J, B ed S é piccola e incasinata, ma riesco a notarlo solamente dopo avere salutato la madre di lui, in visita per il weekend (sebbene vivano entrambi a Londra). La signora é gentile e sorridente, unica pecca del discorso lo stupirsi del mio saper parlare inglese. -Ma anche se lo pensasse, che bisogno c'é di dirlo e risultare scortesi?- Mah. Nel mentre si avvicina J che, un po' geloso delle attenzioni della madre nei miei riguardi, e un po' per riportarmi al mio ruolo, mi invita a salire in camera di S, che non riesce a dormire per l'emozione di incontrarmi. S va sempre a letto un paio d'ore dopo cena e cioé intorno alle 7!
Entro nella sua stanzetta, e accanto a lei trovo B, che dopo qualche sorriso fugace si apposta sull'uscio per assistere alla scena. S é davvero tanto carina, piccola piccola nel suo lettino piccolo piccolo. Ha dei lunghi capelli biondissimi, occhi chiari e un bel visino. Si vede che é super eccitata perché al vedermi guizza subito fuori dalle coperte e mi mostra i suoi pupazzi preferiti, i suoi libri, i disegni attaccati al muro (e sul muro). Io sono in parte stanca e in parte tesa, ma cerco di essere dolce e simpatica e conquisto subito la simpatia della bambina. Arriva nuovamente J che, dopo aver riaccompagnato la madre a casa, riporta me alla realtà ed S nel mondo dei sogni.
B mi mostra la mia camera, che si trova in quello stesso piano, due stanze dopo quella di S. La porta in mezzo, invece, é quella del mio bagno (piccolo, freddo, brutto, sporco e, come scoprirò, utilizzato come ca**toio di tutte le amichette della bambina).
B si scusa per non avere avuto il tempo di pulire, riordinare e cambiare le lenzuola del mio letto. Io le dico di non preoccuparsi, ma in realtà penso che aveva avuto tutto il weekend per farlo e la cosa un pò mi sca**a. Altro che ospitalità italiana! Lei, però, vuole rimediare. Io la ringrazio e nel mentre butto un occhio giù dalle scale: le mie valigie sono ancora lì; sì, significa che dovrò portarle su da sola; no, J non é affatto un gentleman, e non mi aiuta. Dopo avere traslocato ed avere lasciato B nella mia camera con l'aspirapolvere, sento l'uomo di casa chiamarmi al piano terra, dove c'é la cucina.
Information - La casa é così organizzata:
Piano terra ingresso-soggiorno a destra-scale sulla sinistra-corridoiostrettissimo davanti- studio di J sulla destra- casino nero di sottoscala a sinistra- bagnetto pieno di colori e acquerelli (e sporco) a destra- cucina in fondo con backyard annesso.
Primo piano  sinistra camera mia- svolta a destra obbligata in corridoio strettissimo- mio bagnato/ca**toio bambine a sinistra- camera di S a sinistra- stanza incasinata dei vestiti di tutti, sparsi ovunque, a sinistra- bagno decente con vasca e doccia (dove devo lavarmi anche io) in fondo, e scale subito a destra
Secondo piano (rimasto una chimera fino agli ultimi giorni di mia permanenza con la famiglia G) enorme open space con stanza di J e B, salottino e bagno in stile moderno. Cioè unica parte bellina della casa tenuta gelosamente segreta. Va be'...
Dicevo...
Raggiungo J in cucina. Lui mi fa subito vedere il doppio lavabo (uno per alimenti con carne, l'altro per alimenti con latte), e apre tutti gli sportelli per farmi conoscere il contenuto. Mi dice che cucineranno sempre loro, per cui non avrò bisogno di farlo, a meno che non lo preferisca. La cuisine inglese, si sa, é veramente pessima, ma sono a casa loro e mi adatterò. In più, potrò assaggiare dei piatti tipici della cucina ebraica, e la cosa mi interessa, nonostante il mio immancabile scetticismo e il mio essere molto viziata nel mangiare.
Con J iniziamo a conversare tranquillamente. Parliamo di politica italiana, della crisi, di Berlusconi, e nel mentre ci raggiunge anche B. B mi piace più di J. E' sulla quarantina ma se li porta molto male, veste come un uomo e si trascura, ma é editor delle news della BBC e la rispetto molto. A casa é lei quella che guadagna gran parte della pagnotta e che lavora tutto il giorno, quasi tutti i giorni. S vede la madre solo la mattina al risveglio, e a volte la sera prima di addormentarsi. J, invece, é onnipresente.
B mi mostra le marmellate usate per la colazione, nel caso mi servano l'indomani. Tra queste c'é la Nutella (SALVEZZA!!!!), che lei chiama "natela" e fa fatica a credere che sia un prodotto italiano. No guarda B, lo sto dicendo solo per vantarmene! Mi sento una gran fi*a ora che ti ho detto che la una crema di nocciole e cacao proviene dal mio Paese! Mah.
J scherza e fa battute di uno humour che stranamente non mi diverte affatto. Poi mi invita a mangiare qualcosa con loro. Io rifiuto cortesemente, perché devo aprire le valigie e mettere in ordine la mia roba nella nuova stanza. Così faccio. Nota importante: nella mia stanza c'é un freddo bastardo! Consta di un letto a due piazze, comodino, scrivania, armadio (pieno di vestiti loro e che quindi non posso utilizzare), libreria con tomi su tomi riguardanti il giudaismo, un mobiletto non meglio identificato e due finestre che danno sul giardino. Ah si, c'é anche un inutile termosifone che non riscalda un ca**o perché viene acceso due ore al giorno!
Sento i miei, sento il mio on/off/on ragazzo, gli racconto com'é andata. Sento C, controllo il computer (mi ero già fatta dare la password del wi-fi), e mi addormento.
Attorno alle 7 mi sveglia il circo, arrivato a Fanc*landia proprio quella mattina! No un attimo, non é il circo: é S che urla e fa i capricci mentre si prepara per la scuola. Nel mentre, J e B si parlano tranquillamente da un piano all'altro, noncuranti del fatto che io potessi anche magari, diciamo, ecco...DORMIRE! Sento che S vuole entrare in camera mia per salutarmi, e prego che non lo faccia. La mamma riesce a recuperarla quando quella ha già la mano sul pomello della porta. Madre e figlia escono di casa un'ora  e mezza dopo, e io alle 9 decido di alzarmi. Rifaccio il letto, preparo i vestiti puliti e, dopo avere disinfettato bene la vasca e la cornetta, mi faccio la doccia. Una volta pronta, scendo in cucina per la colazione. J legge il giornale e si meraviglia del mio orario così tardo. Ma ca**o vuoi? Penso. Invece gli chiedo a quale orario lui sia solito svegliarsi. <<Tra le 5 e le 6, sono estremamente mattiniero, Fujiko!>> <<Bravo>> gli dico, ma in realtà penso: non é che sei mattiniero, é che sei vecchio. Cooomunque...
Faccio colazione con pane e natela e due bicchieri di succo d'arancia, sotto lo sguardo attento di J, che ridacchiando mi chiede come mai io beva così tanto. Sorrido. Prima che finisca, lui si alza e mi chiede di mettere in ordine la cucina e lavare i piatti. Sì. Dopodiché lui mi spiegherà meglio le mie mansioni. Lavo piatti e bicchieri, facendo attenzione a metterli negli scompartimenti giusti. Pulisco il tavolo (che sporco!), i ripiani (che sporchi!), riordino (che casino!) e do una spazzata veloce (bleah!). J ritorna in cucina, soddisfatto del mio lavoro.

...SORPRESA SORPRESA! Non ero lì per fare da tutrice alla bellissimaintelligentissimacoltissimacreativissimabravissimaperfettissima S, ma per fare la ragazza alla pari in pratica. A tutta la famiglia. Con zero paga. I miei orari di lavoro sarebbero stati sì di sole 3 ore al giorno per 5 giorni alla settimana, ma a questi si sarebbero aggiunti gli extra serali (cioé quando J e B, approfittando della mia presenza, sarebbero usciti a farsi i ca**i loro), e le pulizie domestiche, di cui quelle generali una volta a settimana e quelle ordinarie, appunto, ogni giorno. Azz.
E le lezioni di italiano? Be', secondo J -molto poco interessato alla letteratura dal momento stesso in cui ho messo piede in casa sua- si sarebbero potute tenere, magari una volta, riunendo le amichette di S di origine italiana. Ma sarebbe stato difficile. Bene. In pratica ero fo**uta. Decido di provarci, almeno. Ok, non é quello che pensavo. Dovevo aspettarmelo. Ma posso farcela. Posso farmi notare da B e magari trovare lavoro alla BBC, o comunque avere vitto e alloggio gratis nel mentre che cerco qualcosa di più adatto a me. Del resto, era quella la mia idea di partenza. Quindi, più o meno, avrei continuato su quella stessa linea.
Mentre penso queste cose, J mi dice di riordinare la stanza di S. Vado. Macchecca**o é? Ci é passato il circo davvero! Ci metto almeno mezzora a ripiegare vestiti, ordinare libri e rifare il letto. Avanzano dei pupazzi: li dispongo sulla trapunta formando un cuoricino. Noto che a lato del box dei giochi c'é un vasino da notte con sopra un pannolino, e mi stupisco che la bambina li usi ancora a sei anni. Non lo tocco. Mentre sto finendo la pulizia entra nuovamente J, che prende il vasino, lo svuota nel cesso (quindi sotto c'era pure della pipì) e, senza risciacquarlo, lo rimette nella stanza. Il pannolino invece é stato buttato (almeno quello!). J mi informa che S sta ancora imparando a controllare i proprio bisognini, e che la notte ha bisogno del pannolino; perciò quando dovrò farla addormentare dovrò prima mettergliene uno. E da ora in poi dovrò svuotarlo io, il vasino, la mattina.
Ma dimmi tu!
Ho il resto della mattina libera, che utilizzo per iniziare a inviare curriculum online e fare ginnastica. Ora di pranzo. Apro il frigo e tra i vari cibi precedentemente cucinati, inclassificabili e separati in vari contenitori, noto del cheddar. Lo prendo e mi faccio un panino. Alle 3 devo prendere S da scuola, e badare a lei fino alle 6pm. Prima di uscire, J mi dà la chiavi di casa e mi spiega come usarle. Poi mi fa tagliare una mela e me la fa mettere in un contenitorino (ma quanti ne hanno?) in modo da darla alla bambina nel tragitto da scuola a casa (estenuante, di ben 5 minuti!) in cui la piccola non riesce a resistere la fame. Aggiunge poi un pacchetto di caramelle: <<Puoi dargliene solo una, capito? Una! Due, se proprio lo chiede>> Sì sì va be'...infine, tira fuori una banconota da 20£ e un'agenda. <<Questi servono per le piccole esigenze, per esempio se la bambina ha voglia di un gelato. Tu glielo compri, e poi annoti tutto qua: data, ora, cifra e spesa. Quando saranno terminati, te ne darò altri 20.>> Ascolto, incredula di dover non solo giustificare ma addirittura certificare per iscritto le mie azioni con poche sterline.
Prendo i soldi, la mela e le caramelle e vado a scuola. Da specificare che il tragitto per arrivare davanti alla classe della bambina non mi é stato neanche fatto vedere, ma solamente spiegato a voce. Ci arrivo comunque. Attendo. Tutti gli altri compagnetti sono già tra le braccia dei genitori o dei carriers, ma S non arriva. Chiedo di lei alle maestre, le quali -Guess what? Indovina indovina?- non erano state avvisate della mia venuta. Per cui, dopo avere sentito telefonicamente sia J che B, essere state autorizzate ed essersi accertate della mia identità, mi danno S che, sorridente, prende il suo monopattino e si incammina con me. Nel breve tragitto mi parla, fa tante domande, mangia poca mela e ben due caramelle! Appena arrivate a casa, neanche il tempo di salutare il padre (che non si scusa con me per la dimenticanza con le insegnanti), che la piccola mi trascina in camera sua, dove per le successive due ore sono costretta a giocare. Unico commento: che palle! Viziatissima! Alle 5 entra J, che con un sorriso falso mi dice di preparare la cena ad S, che é tardi. Scendiamo tutti e tre in cucina. Apro il frigo, ma non posso scegliere quale dei "deliziosissimi" intrugli delle vaschette estrarre, perché me lo dice J. Faccio allora per riscaldare il prescelto, ma lui mi blocca. Cioè, quello che devo fare é solo prendere un contenitore dal frigo e mettere una porzione fredda in un piatto? Sì. E aggiungere delle carote crude. No, non a rotelline. E neanche intere, per carità! A pezzi grossi. Ok, fatto. Pronta questa cena gnamgnam (rifletto sull'alimentazione della bambina rispetto a quella della mia infanzia. Meglio non paragonarle nemmeno). Verso del succo di mela in un bicchiere colorato. S mangia e chiacchiera con me, J ci guarda. La bambina, però, non finisce il cibo né il succo e il padre, lamentandosi del mio spreco invece che incoraggiare la figlia a mangiare, si spazzola tutto. Poi mi consegna le stoviglie e me le fa lavare. Quando tutto é nello scolapiatti, mi informa che il mio turno giornaliero é terminato. S é un po' triste perché avrebbe voluto giocare ancora con me, ma io sono contenta di essere libera (sebbene rintanata a Fanc*landia). Yeah!!!!
Trascorro tutta la sera in camera, guardando un film in streaming, inviando altri curriculum online. Ceno con una banana e un altro po' di cheddar quando nessuno é in cucina, e bevo altri bicchieri di succo. E' inutile: quelle pietanze nel frigo sembrano vecchie e non sono per niente invitanti. Torno in camera e sento i miei e il mio on/off/on ragazzo via Skype.
Prima di andare a dormire, entro nel bagno per lavarmi i denti, e poi torno in camera. Qualche secondo dopo bussa e poi entra J, dicendo di non sbattere le porte. La sua faccia era da riprendere con la telecamera: nervi tesissimi, ancora una volta nascondeva un imperativo con una finta richiesta. Ma la sua cortesia era pulita tanto quanto la moquette della casa. Gli dico che starò attenta, e lui se ne va. Il fatto però é che é la porta che scricchiola, mica l'ho sbattuta! Soprattutto se vedo che stanno già tutti dormendo. Invece, per lui non ci sono orari che tengano ed é sempre il momento per rimproverarmi.
Santa pazienza!
Mi butto sul letto, ripercorrendo mentalmente la giornata appena trascorsa e pensando come quella fosse solo la prima di una serie dalla durata ancora non determinata. Aiuto! Spero di trovare presto di meglio.
Cerco evasione. Sospiro. Accendo l'iPod.



lunedì 13 maggio 2013

Artista di Strada Part I

Sono a Londra. Arrivata a Victoria's Station dall'aeroporto di Gatwick, prendo un taxi per casa di C, la mia amica che non vedevo dai tempi di NY.
Ero partita con un atteggiamento diverso rispetto al solito: più stanca, più indignata, più disillusa; decisamente più adulta. A Malpensa ero perfino indecisa se lasciarmi ancora una volta la vita alle spalle e ricominciare da zero, o se temporeggiare rimanendo in Italia, in attesa di un momento migliore. Lui, il mio on/off/on ragazzo era con me all'aeroporto, come al solito. Mi incoraggia, mi dice delle cose bellissime, é pronto a fare marcia indietro e tornare insieme a Milano, nel caso non fossi convinta. Io, che vedo ogni rinuncia come una sconfitta, mi inorgoglisco e parto comunque.
Dicevo...sono a Londra...
Prima cosa: un freddo allucinante per essere a maggio, pioggia e grigiore a go-go. Non mi ha mai entusiasmato come città, ma so bene che é bella, stimolante e piena di opportunità. Guardo dal mio taxi i nuovi grattacieli, la gente che passa, il traffico. Sono contenta di vedere C! Il taxi si ferma a Hoxton Square, davanti a casa sua, ovvero davanti "alla-casa-pazzesca-in-stile-hollywoodiano-di-un-miliardario-olandese-che-é-sempre-fuori-per-lavoro-e-per-tenerla-sotto-controllo-la-affitta-gratuitamente-a-persone-di-fiducia", dove C vive (a scrocco).
C esce dal cancello e mi viene incontro, sorridente. Ci abbracciamo, mentre il tassista tira fuori le mie (numerose) valigie. Entriamo. La mia camera é al terzo piano di questa reggia in stile post-moderno, segue lo stile in bianco e grigio del resto delle stanze ed é arredata con pochi oggetti di design. La finestra é lunga, percorre tutto il locale e regala una bella vista di cielo, tetti e grattacieli. Naturalmente ha il bagno privato, bellissimo anche quello (nonostante, ovviamente, manchi il bidet).
Mi accomodo velocemente, e passo il resto della giornata in giro con C. Chiacchieriamo, ridiamo, beviamo, mangiamo. La sera stessa decidiamo di uscire in un locale in zona, dove mi do appuntamento con F, un mio amico italiano trasferitosi da poco tempo. F arriva quando noi siamo già alla seconda pint di birra, e abbiamo già ricordato storie e persone di NY.
<<Allora, mi spieghi cosa ci fai qui?>> chiede F, dopo le presentazioni (e l'ordinazione di un'altra birra). Bella domanda. Ma la risposta é d'obbligo. Sono a Londra perché...Sono a Londra perché...
Pragmaticamente parlando, sono a Londra per cercare nuove collaborazioni artistiche -ben pagate, grazie!- e nel mentre che mi guardo intorno, faccio da tutrice ad una bambina londinese di quasi 6 anni, S. Suo padre, J, é uno scrittore che ha lavorato anche in Italia, intervistando persino Primo Levi, il quale vorrebbe che la sua "tenerafanciullaestremamentedotata" ampliasse i propri orizzonti culturali. La madre, B, é invece un editor della BBC. Con un lavoro del genere, che impegna soltanto tre ore al giorno, ho diritto a vitto e alloggio gratuiti (di cui quindi non mi devo preoccupare), e ho al contempo la possibilità di cercare posizioni lavorative che più mi interessano. Certo, non sottovaluto il fatto che J e B siano entrambi professionisti nel mio stesso campo, e anzi spero di poter coltivare con loro un buon rapporto e riuscire a farmi aiutare con qualche contatto. Risposta esauriente? Sì.
Sia C che F sollevano dubbi sul fatto che la famiglia voglia farmi fare solo da insegnante alla piccola S. Accetto le loro perplessità, che sono le stesse salite anche a me, soprattutto dopo la skypata con J, tipo piuttosto particolare. Ma é un rischio che sto correndo.
Il giorno seguente, attendo con C che J venga a prendermi in macchina a Hoxton Square per portarmi da loro. C vuole accertarsi di lasciarmi con una persona perbene, e ci scambia due chiacchiere quando questo arriva (in ritardo di 5 ore, c***o!) In realtà, anche J ci stava analizzando, e la prima cosa che mi domanda quando entriamo in macchina, é perché sto andando a stare da loro se ho un'amica che vive in quella casa. Gli rispondo che la casa non é sua e che quindi lei non può gestire gli inquilini, ma mi stava solamente ospitando fino al suo arrivo. -Magari potessi stare lì! Non ci avrei pensato due volte!-(Ovviamente quest'ultima affermazione l'ho taciuta).
Il percorso dal centro di Londra alla zona in cui abita J é, per dirla all'inglese, so phucking long! La macchina di J é disordinata, datata e maltrattata. Lui é...vecchio. Ha più di 60 anni ed S é la sua primogenita. Si assomiglia a Mastro Geppetto di Pinocchio, solo più calvo. Parliamo per tutto il tragitto. Mi fa un terzo grado come neanche mia mamma quando tornavo a casa in ritardo a 16 anni. Pesantino, eh! Poi si attacca alle mie risposte per lanciare monologhi su Londra e l'Inghilterra che mi sarei risparmiata volentieri. Va be'...
J mi informa che lui, sua moglie e la figlia sono ebrei molto praticanti, quasi ortodossi, per cui a casa loro si osservano le regole domestiche del giudaismo. Hanno, ad esempio, un lavandino per cibi e bevande con latte e un altro per cibi e bevande con la carne. E di conseguenza anche pentole, stoviglie, posate e bicchieri si lavano separatamente e si pongono in scomparti separati. Ok. Tradizioni nuove, anche se rigide, significano comunque che c'é qualcosa da imparare. Queste sue parole mi fanno venire in mente l'intervista a Primo Levi, che quindi collego a qualche iniziativa fatta per la comunità ebrea o per il ricordo dell'olocausto. Gli chiedo, curiosa ed emozionata, di parlarmi di quell'esperienza. J mi dà una risposta che mi lascia allibita: ne parla come di un'intervista mal riuscita per colpa dello stesso Levi, il quale non parlava bene l'inglese.  (...) Scusa? Che ca**o dici? E' l'intervistatore che si deve adeguare all'intervistato (soprattutto quando quest'ultimo é veramente una grande personalità) e mai il contrario! Non parlava bene l'inglese? Eri con un italiano in Italia, che lingua pretendi di parlare? Roba da matti! Non gli dico niente, mi volto verso il finestrino -quando arriviamo?- e faccio una smorfia di disapprovazione che lui, occhiali a fondo di bottiglia e faccia praticamente appiccicata al parabrezza, non vede.
Mi dà lo stesso tipo di risposte tra lo schifiltoso e il disinteressato quando gli chiedo delle località italiane che ha visitato. Ok. L'apertura mentale non é sicuramente reciproca. Mi sento un po' a disagio, ma lo maschero bene con dei sorrisi.
Dopo quasi un'ora, eccoci arrivati a Fanc***landia! No davvero, Alexandra Palace é lontanissima dal centro di Londra, e oltre il viale di casette a schiera in cui abiterò si é già in campagna. Prendo le valigie da sola perché J non mi aiuta, ma mi fa strada verso una villettina all'inglese su due piani, carina e anonima come quelle vicine. Lui continua a parlarmi ininterrottamente, io penso ai fatti miei e spero per il meglio. Tiro un respiro profondo. Entro. Hello!


giovedì 9 maggio 2013

Il blocco dello scrittore




Sono passati anni ormai da quando partecipai speranzosa a quel concorso di poesia, giudicato da una giuria d'eccellenza, e vinto tuttavia da una lirica i cui versi erano della serie: "Palloncino blu/Su su su/Nel cielo se ne va/Su su su/E canticchiando fa/Lallerulerullà". Forse la canzoncina della scuola materna aveva anche una costruzione e un'armonia più articolati. Che pena! Devo ammetterlo: pensavo di poter vincere, o almeno di venire menzionata. Ma non é stato così. "Tutta roba truccata, tutta gente raccomandata!" mi dicono le persone vicine. Ho capito, ma sta di fatto che PalloncinoBlu 1 e Fujiko 0. Cooomunque...Uno degli esami più belli, se non il migliore che abbia mai sostenuto all'Universita, é stato il primo che ho sostenuto: Italiano per la Comunicazione. Una sorta di Letteratura Italiana I. Ero, artisticamente parlando, innamorata della mia insegnante, che mi ammaliava con le sue lezioni, la sua sapienza, la sua sensibilità. Ero talmente d'accordo con ogni parola che pronunciava da confonderle con i miei pensieri sulla letteratura e i grandi autori della nostra tradizione. Un esame che mi ha ulteriormente spronato a scrivere, a continuare ad ispirarmi, buttar giù e correggere le mie poesie in tante notti insonni di una Milano ora fredda, ora calda. Avevo già l'idea di far leggere le mie liriche alla professoressa, ma aspetto un anno per farlo. Non volevo pensasse che volessi interferire con i suoi giudizi e con la mia media dell'anno accademico in corso: eccesso di onestà. -Ma chi me l'ha fatto fare?- Bene. Dopo un anno prendo coraggio e le scrivo una email in cui le chiedo il permesso di inoltrarle il mio materiale per una valutazione e, soprattutto, per un parere, dato che tengo il suo in grandissima considerazione. Lei mi risponde dopo due settimane dicendomi di avere qualche problema nel download degli allegati, e mi chiede di portarle una copia cartacea nel suo ufficio, il giorno del suo ricevimento studenti settimanale. Detto fatto. La professoressa dà l'aria di essere un po' sca***ta, di avere forse percepito nella mia richiesta una pretenziosità che in realtà non c'era. Al contrario. Chiedevo solo un parere a un'esperta che ammiravo sinceramente. Davvero! Tutto sommato sono contenta, perché so che avrò presto un suo riscontro.Negativo, ca**o.La professoressa mi risponde per email un altro paio di settimane dopo, dicendomi in sostanza che le mie idee sono anche buone ma che necessitano di tanto labor, di lavoro sulla forma. Per chi non conoscesse la poesia, questo commento vuol dire in pratica che non vali un ca**o. La poesia senza forma può equivalere alla prosa di un qualsiasi zarro di Quarto Oggiaro. Il suo commento, diplomatico ma significativo, mi ha fatto subito venire in mente un pensiero dello Zibaldone di Leopardi, analizzato e discusso tante volte durante le lezioni di Italiano per la Comunicazione:


<<Tutti più o meno (massimamente le persone che hanno coltivato il loro intelletto, e sviluppatene le qualità, e quelle che sono ammaestrate da molta esperienza ec.) concepiscono in vita loro delle idee, delle riflessioni, delle immagini ec. o nuove, o sotto un nuovo aspetto, o tali insomma che bene e convenientem. espresse nella scrittura, potrebbero esser utili o piacevoli, e separar quello scrittore, se non altro, dal numero de’ copisti. Ma perché gl’ingegni non hanno l’abito di fissar fra se stessi, circoscrivere, e chiarificare le loro idee, perciò queste restano per lo più nella loro mente in uno stato incapace di esser consegnate e adoperate nella scrittura; e i più, quando si mettono a scrivere, non trovando niente del loro che faccia al caso, si contentano di copiare, o compilare, o travestire l’altrui; e neppur si ricordano, né credono, né s’immaginano, né pensano in verun modo a quelle idee proprie che pur hanno, e di cui potrebbero far sì buon uso. [Essi non hanno l’abito dell’applicazione, […] dell’attendere e del riflettere alle minuzie, non hanno l’abito della fatica]. Mancano pure dell’abito di saper convenientemente esprimere idee nuove, o in nuova maniera, cioè di applicare per la prima volta la parola e l’espressione conveniente ad un’idea, di fabbricarle una veste adatta alla scrittura; e perciò, quando anche le concepiscano chiaramente, le lasciano da banda, non sapendo darle giorno, e disperando, anzi neppur desiderando di potere, e si rivolgono alle idee altrui che hanno già le loro vesti belle e fatte. Che se essi talvolta si lasciano portare a volere esprimere le dette idee proprie, per la mancanza di abilità acquistata coll’esercizio, lo fanno miserabilmente. Questo esercizio è tanto necessario, che io per l’una parte loderò moltissimo, per l’altra piglierò sempre buonissima speranza di un fanciullo o di un giovane, il quale ponendosi a scrivere e comporre, vada sempre dietro alle idee proprie, e voglia a ogni costo esprimerle, sia pur frivole com’è naturale nei principii della riflessione, e malamente espresse com’è naturale ne’ principii dello scrivere e dell’applicare i segni ai pensieri. A me pare ch’io fossi uno di questi. (G. LEOPARDI, Zibaldone, 22 agosto 1821)>>

Cioè: anche i cretini hanno delle buone idee. La differenza tra un cretino che scrive e uno scrittore che scrive sono lo stile e la tecnica (alias il labor),  quello che secondo lei non ho. Una critica negativa mascherata da un suggerimento. Io tanto triste, io tanto dispiaciuta per questo.   :-(
Se non mi capisce lei, che credevo condividesse la mia stessa sensibilità letteraria, allora chi? 
-Le altre persone che leggono i miei scritti li apprezzano, ok.- Ma sono poche. E sono sufficienti? No. Non per me.
Passano gli anni, mi laureo. Parto in America; lavoro. Inizio, parallelamente, a chiedere collaborazioni alle varie riviste letterarie italiane. Tutte e dico tutte, dopo aver visto il mio curriculum, mi invitano alla produzione e all'inizio di un rapporto lavorativo con loro, ovviamente "AGGRATIS". Nonostante l'ovvio bisogno di essere retribuita come ogni professionista, accetto. Scrivere é un bisogno più forte di me. Ho provato a smettere tante volte: ma non é un vizio come il fumo, l'alcool, la droga, le pellicine delle unghie da masticare mentre si guarda la tv. Per me scrivere é una necessita: é come provare a trattenere il fiato e, dopo un po' di apnea forzata, scoppiare in un respiro fortissimo, rossi in volto. 
Spinta dai corteggiamenti delle varie riviste letterarie, contatto un autore, D, che conosco professionalmente, per presentarmi e propormi come scrittrice. D apprezza la mia passione, la mia formazione, la mia dedizione. Mi invia per posta dei suoi libri di poesia, che io leggo tutto d'un fiato durante il mio secondo viaggio verso gli Stati Uniti. Come da lui richiesto li recensisco, con una critica positiva. 
Poi é il mio turno. Gli invio una raccolta di mie poesie scritte negli anni, legate da un filo conduttore amoroso. La sua email di risposta, in pratica, mi fa a me**a. "Sono giovane, devo imparare, le idee non sono male, ma per scrivere ci vuole esperienza etc etc".
<<Momento momento momento momento momento momento momento: Lois, questo non é il mio bicchiere di Batman!>>
Momento momento momento momento momento momento momento: D, questa é una ca***ta! Se é vero che la scrittura, a differenza di molte altre materie che necessitano di talento, come quelle scientifiche, é qualcosa che si affina e migliora con l'età, é anche vero che l'innovazione viene sempre dai tentativi della gioventù: prima pubblicazione di Sepulvéda a 20 anni, dello stesso Leopardi a 18 anni, di Hemingway a 24 anni, tanto per citarne alcuni. Non si tratta mai dei loro grandi capolavori ricordati per sempre come esempio per l'umanità, no. Ma sono l'ouverture storica del loro stile.  Perché gli scrittori ammazzando gli altri scrittori? Perché la cultura ammazza la nuova cultura? Perché la società ammazza i giovan?
Fanc**o, D! Sono comunque demoralizzata dal tuo commento. 
Passa ancora dell'altro tempo e io, sempre più incerta, propongo la stessa raccolta poetica a una grande casa editrice, all'epoca in cerca di giovani talenti. Dopo alcuni mesi mi arriva la loro risposta: mi vogliono! Mi pubblicano! Esibiranno la mia opera a festival di poesia nazionali e internazionali! La distribuiranno nei loro circuiti in tutta Italia! Leggendo la lettera mi commuovo. Alt. Clausola. -L'autore deve pagare l'intero processo produttivo della prima edizione, valore: 150 copie spesa: 2000 euro- 
Che??????????
Ma non puntavano sul mio talento? Ma non era un concorso per esordienti, quindi per persone che hanno bisogno di una spinta (anche economica)? Perché, se gli piaccio, devo pagare io? L'anticipo, probabilmente, l'avrei riguadagnato nel giro di qualche presentazione dell'opera nelle varie librerie. Ma questo non ha per niente senso. Non scrivo per arricchirmi. Ma nemmeno per impoverirmi! E se uno crede in me non ha senso che continui a sacrificarmi io.
Rifiuto l'offerta per principio. SOB SOB (direbbero a Paperopoli)!
                                                                         ...

Demotivante.

                                                                         ...


Anni dopo, quando é stata pubblicata la mia prima opera, stringendo tra le mani la copia cartacea del mio libro, non ho neanche battuto ciglio, non ho sentito niente.