giovedì 9 maggio 2013

Il blocco dello scrittore




Sono passati anni ormai da quando partecipai speranzosa a quel concorso di poesia, giudicato da una giuria d'eccellenza, e vinto tuttavia da una lirica i cui versi erano della serie: "Palloncino blu/Su su su/Nel cielo se ne va/Su su su/E canticchiando fa/Lallerulerullà". Forse la canzoncina della scuola materna aveva anche una costruzione e un'armonia più articolati. Che pena! Devo ammetterlo: pensavo di poter vincere, o almeno di venire menzionata. Ma non é stato così. "Tutta roba truccata, tutta gente raccomandata!" mi dicono le persone vicine. Ho capito, ma sta di fatto che PalloncinoBlu 1 e Fujiko 0. Cooomunque...Uno degli esami più belli, se non il migliore che abbia mai sostenuto all'Universita, é stato il primo che ho sostenuto: Italiano per la Comunicazione. Una sorta di Letteratura Italiana I. Ero, artisticamente parlando, innamorata della mia insegnante, che mi ammaliava con le sue lezioni, la sua sapienza, la sua sensibilità. Ero talmente d'accordo con ogni parola che pronunciava da confonderle con i miei pensieri sulla letteratura e i grandi autori della nostra tradizione. Un esame che mi ha ulteriormente spronato a scrivere, a continuare ad ispirarmi, buttar giù e correggere le mie poesie in tante notti insonni di una Milano ora fredda, ora calda. Avevo già l'idea di far leggere le mie liriche alla professoressa, ma aspetto un anno per farlo. Non volevo pensasse che volessi interferire con i suoi giudizi e con la mia media dell'anno accademico in corso: eccesso di onestà. -Ma chi me l'ha fatto fare?- Bene. Dopo un anno prendo coraggio e le scrivo una email in cui le chiedo il permesso di inoltrarle il mio materiale per una valutazione e, soprattutto, per un parere, dato che tengo il suo in grandissima considerazione. Lei mi risponde dopo due settimane dicendomi di avere qualche problema nel download degli allegati, e mi chiede di portarle una copia cartacea nel suo ufficio, il giorno del suo ricevimento studenti settimanale. Detto fatto. La professoressa dà l'aria di essere un po' sca***ta, di avere forse percepito nella mia richiesta una pretenziosità che in realtà non c'era. Al contrario. Chiedevo solo un parere a un'esperta che ammiravo sinceramente. Davvero! Tutto sommato sono contenta, perché so che avrò presto un suo riscontro.Negativo, ca**o.La professoressa mi risponde per email un altro paio di settimane dopo, dicendomi in sostanza che le mie idee sono anche buone ma che necessitano di tanto labor, di lavoro sulla forma. Per chi non conoscesse la poesia, questo commento vuol dire in pratica che non vali un ca**o. La poesia senza forma può equivalere alla prosa di un qualsiasi zarro di Quarto Oggiaro. Il suo commento, diplomatico ma significativo, mi ha fatto subito venire in mente un pensiero dello Zibaldone di Leopardi, analizzato e discusso tante volte durante le lezioni di Italiano per la Comunicazione:


<<Tutti più o meno (massimamente le persone che hanno coltivato il loro intelletto, e sviluppatene le qualità, e quelle che sono ammaestrate da molta esperienza ec.) concepiscono in vita loro delle idee, delle riflessioni, delle immagini ec. o nuove, o sotto un nuovo aspetto, o tali insomma che bene e convenientem. espresse nella scrittura, potrebbero esser utili o piacevoli, e separar quello scrittore, se non altro, dal numero de’ copisti. Ma perché gl’ingegni non hanno l’abito di fissar fra se stessi, circoscrivere, e chiarificare le loro idee, perciò queste restano per lo più nella loro mente in uno stato incapace di esser consegnate e adoperate nella scrittura; e i più, quando si mettono a scrivere, non trovando niente del loro che faccia al caso, si contentano di copiare, o compilare, o travestire l’altrui; e neppur si ricordano, né credono, né s’immaginano, né pensano in verun modo a quelle idee proprie che pur hanno, e di cui potrebbero far sì buon uso. [Essi non hanno l’abito dell’applicazione, […] dell’attendere e del riflettere alle minuzie, non hanno l’abito della fatica]. Mancano pure dell’abito di saper convenientemente esprimere idee nuove, o in nuova maniera, cioè di applicare per la prima volta la parola e l’espressione conveniente ad un’idea, di fabbricarle una veste adatta alla scrittura; e perciò, quando anche le concepiscano chiaramente, le lasciano da banda, non sapendo darle giorno, e disperando, anzi neppur desiderando di potere, e si rivolgono alle idee altrui che hanno già le loro vesti belle e fatte. Che se essi talvolta si lasciano portare a volere esprimere le dette idee proprie, per la mancanza di abilità acquistata coll’esercizio, lo fanno miserabilmente. Questo esercizio è tanto necessario, che io per l’una parte loderò moltissimo, per l’altra piglierò sempre buonissima speranza di un fanciullo o di un giovane, il quale ponendosi a scrivere e comporre, vada sempre dietro alle idee proprie, e voglia a ogni costo esprimerle, sia pur frivole com’è naturale nei principii della riflessione, e malamente espresse com’è naturale ne’ principii dello scrivere e dell’applicare i segni ai pensieri. A me pare ch’io fossi uno di questi. (G. LEOPARDI, Zibaldone, 22 agosto 1821)>>

Cioè: anche i cretini hanno delle buone idee. La differenza tra un cretino che scrive e uno scrittore che scrive sono lo stile e la tecnica (alias il labor),  quello che secondo lei non ho. Una critica negativa mascherata da un suggerimento. Io tanto triste, io tanto dispiaciuta per questo.   :-(
Se non mi capisce lei, che credevo condividesse la mia stessa sensibilità letteraria, allora chi? 
-Le altre persone che leggono i miei scritti li apprezzano, ok.- Ma sono poche. E sono sufficienti? No. Non per me.
Passano gli anni, mi laureo. Parto in America; lavoro. Inizio, parallelamente, a chiedere collaborazioni alle varie riviste letterarie italiane. Tutte e dico tutte, dopo aver visto il mio curriculum, mi invitano alla produzione e all'inizio di un rapporto lavorativo con loro, ovviamente "AGGRATIS". Nonostante l'ovvio bisogno di essere retribuita come ogni professionista, accetto. Scrivere é un bisogno più forte di me. Ho provato a smettere tante volte: ma non é un vizio come il fumo, l'alcool, la droga, le pellicine delle unghie da masticare mentre si guarda la tv. Per me scrivere é una necessita: é come provare a trattenere il fiato e, dopo un po' di apnea forzata, scoppiare in un respiro fortissimo, rossi in volto. 
Spinta dai corteggiamenti delle varie riviste letterarie, contatto un autore, D, che conosco professionalmente, per presentarmi e propormi come scrittrice. D apprezza la mia passione, la mia formazione, la mia dedizione. Mi invia per posta dei suoi libri di poesia, che io leggo tutto d'un fiato durante il mio secondo viaggio verso gli Stati Uniti. Come da lui richiesto li recensisco, con una critica positiva. 
Poi é il mio turno. Gli invio una raccolta di mie poesie scritte negli anni, legate da un filo conduttore amoroso. La sua email di risposta, in pratica, mi fa a me**a. "Sono giovane, devo imparare, le idee non sono male, ma per scrivere ci vuole esperienza etc etc".
<<Momento momento momento momento momento momento momento: Lois, questo non é il mio bicchiere di Batman!>>
Momento momento momento momento momento momento momento: D, questa é una ca***ta! Se é vero che la scrittura, a differenza di molte altre materie che necessitano di talento, come quelle scientifiche, é qualcosa che si affina e migliora con l'età, é anche vero che l'innovazione viene sempre dai tentativi della gioventù: prima pubblicazione di Sepulvéda a 20 anni, dello stesso Leopardi a 18 anni, di Hemingway a 24 anni, tanto per citarne alcuni. Non si tratta mai dei loro grandi capolavori ricordati per sempre come esempio per l'umanità, no. Ma sono l'ouverture storica del loro stile.  Perché gli scrittori ammazzando gli altri scrittori? Perché la cultura ammazza la nuova cultura? Perché la società ammazza i giovan?
Fanc**o, D! Sono comunque demoralizzata dal tuo commento. 
Passa ancora dell'altro tempo e io, sempre più incerta, propongo la stessa raccolta poetica a una grande casa editrice, all'epoca in cerca di giovani talenti. Dopo alcuni mesi mi arriva la loro risposta: mi vogliono! Mi pubblicano! Esibiranno la mia opera a festival di poesia nazionali e internazionali! La distribuiranno nei loro circuiti in tutta Italia! Leggendo la lettera mi commuovo. Alt. Clausola. -L'autore deve pagare l'intero processo produttivo della prima edizione, valore: 150 copie spesa: 2000 euro- 
Che??????????
Ma non puntavano sul mio talento? Ma non era un concorso per esordienti, quindi per persone che hanno bisogno di una spinta (anche economica)? Perché, se gli piaccio, devo pagare io? L'anticipo, probabilmente, l'avrei riguadagnato nel giro di qualche presentazione dell'opera nelle varie librerie. Ma questo non ha per niente senso. Non scrivo per arricchirmi. Ma nemmeno per impoverirmi! E se uno crede in me non ha senso che continui a sacrificarmi io.
Rifiuto l'offerta per principio. SOB SOB (direbbero a Paperopoli)!
                                                                         ...

Demotivante.

                                                                         ...


Anni dopo, quando é stata pubblicata la mia prima opera, stringendo tra le mani la copia cartacea del mio libro, non ho neanche battuto ciglio, non ho sentito niente.


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