lunedì 13 maggio 2013

Artista di Strada Part I

Sono a Londra. Arrivata a Victoria's Station dall'aeroporto di Gatwick, prendo un taxi per casa di C, la mia amica che non vedevo dai tempi di NY.
Ero partita con un atteggiamento diverso rispetto al solito: più stanca, più indignata, più disillusa; decisamente più adulta. A Malpensa ero perfino indecisa se lasciarmi ancora una volta la vita alle spalle e ricominciare da zero, o se temporeggiare rimanendo in Italia, in attesa di un momento migliore. Lui, il mio on/off/on ragazzo era con me all'aeroporto, come al solito. Mi incoraggia, mi dice delle cose bellissime, é pronto a fare marcia indietro e tornare insieme a Milano, nel caso non fossi convinta. Io, che vedo ogni rinuncia come una sconfitta, mi inorgoglisco e parto comunque.
Dicevo...sono a Londra...
Prima cosa: un freddo allucinante per essere a maggio, pioggia e grigiore a go-go. Non mi ha mai entusiasmato come città, ma so bene che é bella, stimolante e piena di opportunità. Guardo dal mio taxi i nuovi grattacieli, la gente che passa, il traffico. Sono contenta di vedere C! Il taxi si ferma a Hoxton Square, davanti a casa sua, ovvero davanti "alla-casa-pazzesca-in-stile-hollywoodiano-di-un-miliardario-olandese-che-é-sempre-fuori-per-lavoro-e-per-tenerla-sotto-controllo-la-affitta-gratuitamente-a-persone-di-fiducia", dove C vive (a scrocco).
C esce dal cancello e mi viene incontro, sorridente. Ci abbracciamo, mentre il tassista tira fuori le mie (numerose) valigie. Entriamo. La mia camera é al terzo piano di questa reggia in stile post-moderno, segue lo stile in bianco e grigio del resto delle stanze ed é arredata con pochi oggetti di design. La finestra é lunga, percorre tutto il locale e regala una bella vista di cielo, tetti e grattacieli. Naturalmente ha il bagno privato, bellissimo anche quello (nonostante, ovviamente, manchi il bidet).
Mi accomodo velocemente, e passo il resto della giornata in giro con C. Chiacchieriamo, ridiamo, beviamo, mangiamo. La sera stessa decidiamo di uscire in un locale in zona, dove mi do appuntamento con F, un mio amico italiano trasferitosi da poco tempo. F arriva quando noi siamo già alla seconda pint di birra, e abbiamo già ricordato storie e persone di NY.
<<Allora, mi spieghi cosa ci fai qui?>> chiede F, dopo le presentazioni (e l'ordinazione di un'altra birra). Bella domanda. Ma la risposta é d'obbligo. Sono a Londra perché...Sono a Londra perché...
Pragmaticamente parlando, sono a Londra per cercare nuove collaborazioni artistiche -ben pagate, grazie!- e nel mentre che mi guardo intorno, faccio da tutrice ad una bambina londinese di quasi 6 anni, S. Suo padre, J, é uno scrittore che ha lavorato anche in Italia, intervistando persino Primo Levi, il quale vorrebbe che la sua "tenerafanciullaestremamentedotata" ampliasse i propri orizzonti culturali. La madre, B, é invece un editor della BBC. Con un lavoro del genere, che impegna soltanto tre ore al giorno, ho diritto a vitto e alloggio gratuiti (di cui quindi non mi devo preoccupare), e ho al contempo la possibilità di cercare posizioni lavorative che più mi interessano. Certo, non sottovaluto il fatto che J e B siano entrambi professionisti nel mio stesso campo, e anzi spero di poter coltivare con loro un buon rapporto e riuscire a farmi aiutare con qualche contatto. Risposta esauriente? Sì.
Sia C che F sollevano dubbi sul fatto che la famiglia voglia farmi fare solo da insegnante alla piccola S. Accetto le loro perplessità, che sono le stesse salite anche a me, soprattutto dopo la skypata con J, tipo piuttosto particolare. Ma é un rischio che sto correndo.
Il giorno seguente, attendo con C che J venga a prendermi in macchina a Hoxton Square per portarmi da loro. C vuole accertarsi di lasciarmi con una persona perbene, e ci scambia due chiacchiere quando questo arriva (in ritardo di 5 ore, c***o!) In realtà, anche J ci stava analizzando, e la prima cosa che mi domanda quando entriamo in macchina, é perché sto andando a stare da loro se ho un'amica che vive in quella casa. Gli rispondo che la casa non é sua e che quindi lei non può gestire gli inquilini, ma mi stava solamente ospitando fino al suo arrivo. -Magari potessi stare lì! Non ci avrei pensato due volte!-(Ovviamente quest'ultima affermazione l'ho taciuta).
Il percorso dal centro di Londra alla zona in cui abita J é, per dirla all'inglese, so phucking long! La macchina di J é disordinata, datata e maltrattata. Lui é...vecchio. Ha più di 60 anni ed S é la sua primogenita. Si assomiglia a Mastro Geppetto di Pinocchio, solo più calvo. Parliamo per tutto il tragitto. Mi fa un terzo grado come neanche mia mamma quando tornavo a casa in ritardo a 16 anni. Pesantino, eh! Poi si attacca alle mie risposte per lanciare monologhi su Londra e l'Inghilterra che mi sarei risparmiata volentieri. Va be'...
J mi informa che lui, sua moglie e la figlia sono ebrei molto praticanti, quasi ortodossi, per cui a casa loro si osservano le regole domestiche del giudaismo. Hanno, ad esempio, un lavandino per cibi e bevande con latte e un altro per cibi e bevande con la carne. E di conseguenza anche pentole, stoviglie, posate e bicchieri si lavano separatamente e si pongono in scomparti separati. Ok. Tradizioni nuove, anche se rigide, significano comunque che c'é qualcosa da imparare. Queste sue parole mi fanno venire in mente l'intervista a Primo Levi, che quindi collego a qualche iniziativa fatta per la comunità ebrea o per il ricordo dell'olocausto. Gli chiedo, curiosa ed emozionata, di parlarmi di quell'esperienza. J mi dà una risposta che mi lascia allibita: ne parla come di un'intervista mal riuscita per colpa dello stesso Levi, il quale non parlava bene l'inglese.  (...) Scusa? Che ca**o dici? E' l'intervistatore che si deve adeguare all'intervistato (soprattutto quando quest'ultimo é veramente una grande personalità) e mai il contrario! Non parlava bene l'inglese? Eri con un italiano in Italia, che lingua pretendi di parlare? Roba da matti! Non gli dico niente, mi volto verso il finestrino -quando arriviamo?- e faccio una smorfia di disapprovazione che lui, occhiali a fondo di bottiglia e faccia praticamente appiccicata al parabrezza, non vede.
Mi dà lo stesso tipo di risposte tra lo schifiltoso e il disinteressato quando gli chiedo delle località italiane che ha visitato. Ok. L'apertura mentale non é sicuramente reciproca. Mi sento un po' a disagio, ma lo maschero bene con dei sorrisi.
Dopo quasi un'ora, eccoci arrivati a Fanc***landia! No davvero, Alexandra Palace é lontanissima dal centro di Londra, e oltre il viale di casette a schiera in cui abiterò si é già in campagna. Prendo le valigie da sola perché J non mi aiuta, ma mi fa strada verso una villettina all'inglese su due piani, carina e anonima come quelle vicine. Lui continua a parlarmi ininterrottamente, io penso ai fatti miei e spero per il meglio. Tiro un respiro profondo. Entro. Hello!


5 commenti:

  1. ciao! ho trovato il tuo blog sulla pagina fb "italiani a Londra". Mi ha divertito molto leggere l'inizio della tua avventura, forse perchè è da poco iniziata anche la mia. In modo diverso e per diversi motivi, ma.... se ti va di leggerlo, anche io ho un blog! http://faithvivalavida.blogspot.co.uk/

    ciao!
    F.

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  2. Grazie Fede! Anche il tuo blog é interessante. Se ti piacciono queste storie, continua a leggerle. In arrivo anche le altre parti di "Artista di Strada". Ciao!

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  3. Ho letto anche quello che hai scritto dopo. che dire, sempre peggio. A parte una cronaca minuziosa che passa anche al lavaggio dei denti (seriously?), ma poi di cosa ti lamenti? Vai a fare la governante in casa di ebrei ortodossi e ti lamenti se non ti portano le valigie? Se ti chiedono sacrosantemente di rendicontare le spese? Ti ripeto, vedi di crescere, prima ti smalizi meglio è. Povera Italia

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  4. Mi sa che qui l'Anonimo fa l'Anonimo per non farsi riconoscere!

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